Importante e positiva sentenza delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti

RECUPERO DI SOMME INDEBITAMENTE EROGATE A TITOLO PENSIONISTICO

I provvedimenti ingiuntivi di recupero si fondano sul disposto di cui all’articolo 2033 del vigente codice civile, secondo cui chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere (cioè recuperare) ciò che ha pagato. Il Testo Unico sulle pensioni (DPR n. 1092/1973) detta una disciplina specifica e distingue l’erogazione superiore al dovuto avvenuta con provvedimento definitivo da quella disposta con provvedimento provvisorio.

Nel primo caso (provvedimento definitivo) l’articolo 206 precisa che se, in conseguenza del provvedimento revocato o modificato, siano state riscosse rate di pensione o di assegno ovvero di indennità risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all’accertamento di fatto doloso dell’interessato. Quest’ultima fattispecie è assai rara (falsa documentazione prodotta, errori di calcolo fraudolentemente provocati, ecc.) ma di pacifica applicazione.

Nel secondo caso, all’emissione del decreto definitivo, soggetto questa volta a visto e registrazione della Corte dei conti, l’articolo 162 (come modificato dall’art. 8 del DPR n. 138/1986) impone all’Amministrazione di provvedere alle necessarie variazioni, facendo luogo al conguaglio a credito o a debito. La norma aggiunge che l’eventuale mancato recupero... può essere addebitato all’impiegato soltanto in caso di dolo o colpa grave. Se l’impianto normativo legittima ed impone dunque l’azione di recupero, sul piano pratico sorgono non pochi problemi originati essenzialmente dalle lunghe durate dei regimi provvisori, ove si tenga conto che:

1. in via normale, l’acconto erogato è prossimo al dovuto, ma inferiore al dovuto anche per la comprensibile cautela del funzionario liquidatore che potrebbe essere chiamato a rispondere in sede disciplinare ed amministrativa delle somme erogate in eccesso.
L’interessato subisce quindi un danno per il ritardo con cui gli viene corrisposto quanto di sua spettanza;

2. eccezionalmente, il corrisposto è superiore al dovuto, ed allora il protrarsi del conguaglio ne esalta il totale (100 €/mese diventano 1.200 a fine anno e 12.000 dopo 10 anni), creando comprensibili difficoltà per la restituzione;

3. l’interessato è in genere incapace di rilevare l’errore e, in perfetta buona fede, impegna le somme man mano percepite per soddisfare le sempre più pressanti necessità di vita.

L’orientamento della Corte dei conti negli anni «80» del passato secolo fu «possibilista » e negò spesso il recupero anche per i trattamenti provvisori là dove era giustificato dalla buona fede del percettore, valutato in concreto con le sue esigenze personali e familiari.

La sentenza delle Sezioni Riunite n. 1/QM n. 1/1999 invertì l’orientamento sostenendo che l’entrata in vigore della legge n. 241/1990 - che impone precisi termini di durata per ogni procedimento amministrativo, e perciò anche per quello concessivo dei pensione - consentiva all’interessato di mettere in mora l’Amministrazione fino alla denuncia per omissione di atti d’ufficio qualora l’inerzia si fosse protratta. In presenza di questo nuovo rimedio, non si poteva ammettere la pregressa flessibilità interpretativa.

L’inversione di giudizio non venne da tutti osservata, e non poche furono le sentenze difformi pronunciate dalle Sezioni giurisdizionali regionali, ma in secondo grado si osservarono sino ad un recente passato i restrittivi principi di cui alla citata sentenza n. 1/QM del 1999.

Nel corso del 2007 sorse però anche un contrasto giurisprudenziale fra le Sezioni giurisdizionali centrali d’appello, per cui la questione fu deferita alle Sezioni riunite che, con Sentenza n. 7/2007/QM - dopo ampia ed approfondita rivisitazione della normativa pensionistica nel pubblico impiego e discostandosi da quanto deciso nel 1999 - giunge alla seguente conclusione: in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto nell’articolo 162 del DPR n. 1092/1973 concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina contenuta nella legge n. 241/1990, per cui, a decorrere dall’entrata in vigore di detta legge n. 241/1990 (2 settembre 1990), decorso il termine per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione.

La sentenza, condivisibile in diritto, lo è vieppiù in fatto, essendo palesemente ingiusta la pretesa dell’Amministrazione di voler recuperare, a distanza anche di molti anni, somme dalla stessa corrisposte ed in buona fede percepite. Consequenziale è l’invito agli interessati ad opporsi ad eventuali provvedimenti del tipo in esame, chiedendo all’INPDAP l’immediata sospensione del recupero ed il recupero delle somme indebitamente già trattenute. Modello di domanda, predisposto allo scopo, potrà essere scaricato cliccando su scarica.